Con l’ordinanza n. 29514 depositata l’11 ottobre 2022, la Suprema Corte ha ribadito quali siano i requisiti sui quali poggia la nozione di coltivatore diretto «ai fini dell’applicabilità dell’assicurazione per la vecchiaia, l’invalidità e i superstiti».

Nonostante la questione sia di carattere previdenziale, va calata nell’ambito fiscale poiché ha riflessi nella fruizione di alcune agevolazioni che la legge riconosce ai coltivatori diretti e agli imprenditori agricoli professionali iscritti nella previdenza agricola. L’assicurazione IVS, d’altra parte, è applicabile ove sussista l’iscrizione nella gestione previdenziale agricola.

La giurisprudenza di legittimità, già a partire dalla sentenza n. 616/1999 delle Sezioni Unite, ha oramai chiarito che per essere ammessi all’assicurazione previdenziale per i coltivatori diretti è necessario il rispetto di tre requisiti:

  1. la diretta, abituale e manuale coltivazione dei fondi o il diretto e abituale allevamento e governo del bestiame; requisito che si concretizza quando i soggetti si dedicano in modo esclusivo o almeno prevalente a tali attività, dovendosi ritenere attività prevalente quella che impegni il coltivatore diretto per il maggior periodo di tempo nell’anno e che costituisca per esso la maggior fonte di reddito (articolo 1, comma 3, della legge n. 9/1963);
  2. l’effettiva prestazione di lavoro del nucleo familiare non inferiore ad un terzo di
    quella occorrente per le normali necessità delle coltivazioni del fondo e per l’allevamento ed il governo del bestiame (articolo 2, comma 1, della legge n. 9/1963);
  3. un fabbisogno di mano d’opera non inferiore a 104 giornate lavorative annue per la
    coltivazione del fondo (articolo 3 della legge n. 9/1963).

La capacità occupazionale dei fondi o degli allevamenti, per il monitoraggio della soglia delle 104 giornate, si determina in base alle cosiddette tabelle «ettaro-coltura» che, per ogni provincia, stabiliscono il tempo di lavoro occorrente per ogni ettaro di coltura o per ogni capo di bestiame allevato.

I requisiti ribaditi dalla Cassazione sono distinti e non alternativi tra loro, trovano fondamento nelle disposizioni previdenziali, ma non sono altro che il frutto della proiezione della normativa civilistica in materia previdenziale. Il coltivatore diretto, difatti, è annoverato espressamente tra i «piccoli imprenditori» di cui all’articolo 2083 del Codice Civile che esercitano l’attività prevalentemente con il lavoro proprio e dei componenti della famiglia. Le attività sono quelle tipiche dell’«imprenditore agricolo» elencate dall’articolo 2135 del Codice Civile.

La legge n. 1047/1957, che dispone l’obbligo dell’assicurazione IVS per i soggetti in questione, definisce coltivatori diretti i proprietari, gli affittuari, gli enfiteuti e gli usufruttuari, i pastori che direttamente e abitualmente si dedicano alla manuale coltivazione dei fondi o all’allevamento del bestiame.

Ai coltivatori diretti iscritti nella previdenza agricola sono riconosciute alcune agevolazioni fiscali. È il caso di ricordare la “piccola proprietà contadina” di cui all’articolo 2, comma 4-bis, del D.L. n. 194/2009; la non concorrenza dei redditi dominicali e agrari alla formazione del reddito complessivo di tali soggetti prevista dall’articolo 1, comma 44, della legge n. 232/2016; o ancora l’esenzione IMU per i terreni posseduti e condotti direttamente dai lavoratori in questione sancita dall’articolo 1, comma 758, lett. a) delle legge n. 160/2019.

Minimo comune denominatore delle tre norme agevolative citate è il requisito soggettivo della iscrizione nella previdenza agricola in capo a coltivatori diretti e imprenditori professionali per fruire dei benefici fiscali.

Con particolare riferimento all’esenzione IMU, preoccupa la posizione che alcuni comuni, sia pure in numero minimo, pare stiano assumendo per il riconoscimento dell’agevolazione pretendendo dal soggetto passivo d’imposta il regolare versamento della contribuzione. Ciò, in quanto, l’iscrizione nella previdenza agricola sussisterebbe soltanto previo regolare pagamento dei contributi dovuti. Tale posizione è infondata e si deve assolutamente contestare in ogni grado di giudizio.

Infatti, non solo le norme richiamate non impongono la regolarità contributiva quale ulteriore condizione per fruire dei benefici fiscali, e che pertanto nessuno può imporre, ma l’iscrizione previdenziale non decade certamente in caso di mancato pagamento della contribuzione. Ne è conferma la recente ordinanza n. 29514/2022 della Cassazione inerente ad una controversia con l’INPS per un avviso di addebito conseguito a verbale ispettivo con cui un soggetto era stato iscritto d’ufficio nella gestione previdenziale agricola. Il contribuente, che non aveva richiesto l’iscrizione all’INPS e non aveva versato i contributi maturati a seguito dell’iscrizione d’ufficio, sosteneva di non possedere i requisiti per l’assicurazione IVS dei coltivatori diretti contestando iscrizione e richiesta di pagamento. Ma i giudici di legittimità, che invece hanno ravvisato la sussistenza dei tre requisiti, hanno confermato la correttezza dell’iscrizione e la debenza dei contributi.

Se l’immotivata e pericolosa posizione di alcuni comuni fosse risultata corretta, la Suprema Corte avrebbe decretato la cancellazione dalla previdenza a causa dell’omissione dei versamenti.

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