Una delle fattispecie IMU maggiormente generatrice di contenzioso attiene alla tassazione delle aree fabbricabili per le quali i contribuenti, come per la scadenza di oggi, non hanno certezza di corrispondere ai comuni il giusto tributo.

Il problema si pone in quanto, tanto nelle previgenti ICI e IMU, quanto nell’attuale disciplina dell’imposta introdotta dalla legge n. 160 del 2019, per le aree fabbricabili il valore è costituito da quello venale in comune commercio al 1° gennaio dell’anno di imposizione, avendo riguardo alla zona territoriale di ubicazione, all’indice di edificabilità, alla destinazione d’uso consentita, agli oneri per eventuali lavori di adattamento del terreno necessari per la costruzione, ai prezzi medi rilevati sul mercato dalla vendita di aree aventi analoghe caratteristiche. A differenza di quanto avviene per la tassazione degli immobili il cui valore imponibile è determinato in virtù delle risultanze catastali, pertanto, il valore imponibile delle aree fabbricabili non può essere predeterminato e risente di valutazioni legate a diversi elementi tali da rendere “opinabili” i valori attribuiti dai soggetti coinvolti nel rapporto tributario.

Il problema della “incertezza” del valore da tassare si pone tanto più alla luce della definizione ai fini fiscali offerta, per le aree fabbricabili, dall’articolo 36, comma 2, del D.L. n. 223 del 4 luglio 2006. In virtù di tale norma, un’area è da considerare fabbricabile se utilizzabile a scopo edificatorio in base allo strumento urbanistico generale adottato dal comune, indipendentemente dall’approvazione della regione e dall’adozione di strumenti attuativi del medesimo. Sulla scorta della norma richiamata, non di rado accade che un’area fiscalmente edificabile di fatto non lo sia a causa dell’assenza degli atti regionali.

Al fine di controllare il corretto adempimento tributario dei contribuenti, i comuni si basano su valori di riferimento deliberati dai medesimi enti impositori nell’ambito della potestà regolamentare di cui godono in base all’articolo 52 del D. Lgs. n. 447/1997. I valori di riferimento deliberati dei comuni devono essere motivati da una serie di elementi: zona territoriale di ubicazione, indice di edificabilità, destinazione d’uso consentita, oneri per eventuali lavori di adattamento del terreno necessari per la costruzione, prezzi medi rilevati sul mercato dalla vendita di aree aventi analoghe caratteristiche. Tali elementi, anche per relationem, devono essere resi noti al contribuente tramite l’avviso di accertamento.

I valori deliberati dai comuni assurgono a presunzioni semplici per cui il contribuente che intende disattenderli deve produrre in giudizio idonei elementi per smontarli.

Nel merito di una questione rientrante nella descritta fattispecie si è di recente espressa la Corte di Giustizia Tributaria di I grado di Taranto con la sentenza n. 1500 depositata il 6 dicembre 2022 relativa al caso di una contribuente difesa dal nostro studio. Una sentenza che, in virtù dei principi del nostro ordinamento che “dovrebbero” governare l’azione amministrativa, può definirsi esemplare.

Il caso era relativo ad un’area soggetta ad inedificabilità di fatto il cui valore attribuito dal comune superava i 320.000 euro. La contribuente contestava il valore deliberato dall’ente producendo una perizia di parte che stimava il più verosimile valore in appena 23.000 euro. I giudici tarantini per venire a capo della questione, stante l’eccessiva differenza tra i valori invocati dalle parti, nominavano un consulente tecnico d’ufficio che stimava il valore in circa 76.000 euro. In relazione al valore stimato dal CTU non pervenivano osservazioni di carattere tecnico dalle parti per cui il Collegio riteneva equo e corretto prendere a riferimento quel valore «pur nella consapevolezza dell’obiettiva opinabilità di ogni stima immobiliare, specie se riguardante le aree fabbricabili». Statuiva, altresì, che l’imposta dovesse essere determinata per il periodo accertato «esclusa ogni sanzione, stante il più che legittimo contenzioso provocato dall’iniziale accertamento per un valore ben superiore a quello qui determinato». In virtù di tale considerazione, «stante l’esorbitante stima » del comune che ha dato luogo al contenzioso, la Corte poneva ad intero carico dell’ente locale le spese relative alla redazione della perizia di stima del CTU.

Ultime Pubblicazioni

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *